Riflessioni su genitorialità e filiazione nella procreazione medicalmente assistita. Commento di Francesca Campiti (22.02.2016)
Riflessioni su genitorialità e filiazione nella procreazione medicalmente assistita
di Daniela Bruno, Enrica Fondi, Nicoletta Lana, Silva Oliva, Giusi Parisi, Annalisa Scanu
in Processo Analitico e Dinamiche Familiari a cura di Giuliana Lisa Milana (2014)
Commento di Francesca Campiti
Il crescente progredire della ricerca scientifica e delle tecniche mediche ci mette sempre più frequentemente a confronto con nuove realtà che, come operatori della salute mentale, osserviamo e analizziamo senza per questo esprimere un giudizio di merito.
È questo il caso della Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) e dei cosiddetti “figli in provetta”. Ad oltre trenta anni dalla nascita in vitro della prima bambina (1978), oggi sono milioni i bambini nati con queste metodiche.
Gli eventi di cronaca venuti alla ribalta mediatica negli ultimi anni hanno riacceso i riflettori su questa tematica che da sempre ha suscitato un controverso dibattito.
Nel libro curato da Giuliana Milana “Processo analitico e dinamiche familiari” (2014) è presente un interessante saggio sull'argomento scritto dal gruppo di ricerca sulla PMA dell'Associazione Italiana di Psicoterapia Psicoanalitica Infantile: “Riflessioni su genitorialità e filiazione nella procreazione medicalmente assistita”.
Le autrici (D. Bruno, E. Fondi, N. Lana, S. Oliva, G. Parisi, A. Scanu) in questo loro lavoro cercano di mettere a fuoco le dinamiche relative al desiderio di maternità e paternità e come tali dinamiche possano riflettersi sui figli concepiti attraverso queste tecniche. Tenendo presente un doppio versante, genitori e figli, le Autrici riflettono sulla natura dei conflitti sottostanti al processo di transizione alla genitorialità e alle modalità con cui si articola il processo di filiazione in queste situazioni in cui è presente una difficoltà a generare naturalmente un bambino.
Attraverso la presentazione di alcune esperienze cliniche, il lavoro viene articolato in due parti.
Nella prima parte vengono esplorati i meccanismi inconsci, le fantasie e i processi di elaborazione della sterilità in due pazienti che hanno effettuato senza successo la PMA.
Dalla discussione dei casi presentati, emerge che, quando la maternità non è possibile, la mancanza di un figlio desiderato può rappresentare una dolorosa ferita narcisistica, un lutto difficile da elaborare. La donna che non riesce ad avere figli può sentire che le è negata la possibilità di crescere, in quanto l'impossibilità di generare sembra fermarla nella condizione di adolescente perenne dove l'accesso alla creatività e complessità dell'immagine di sé è impedito.
L'esperienza della maternità, infatti, tende a spingere verso il superamento ulteriore dell'adolescenza e delle dinamiche edipiche, ma, laddove ciò non è possibile, sembra si possa correre il rischio che il desiderio di un figlio si trasformi in un bisogno incoercibile, in cui una distanza e un confronto con la realtà diventano difficili. Per cui, ammettendo il bisogno solo la soddisfazione, la donna può sottoporsi a ripetuti tentativi di fecondazione dove gli insuccessi aumentano il senso di fallimento.
Il passaggio dall'essere figlia all'essere madre, per ogni donna, è, comunque, un lungo processo che porta a confrontarsi con la propria storia, con l'esperienza di rispecchiamento ricevuta e con nuovi processi identitari. La PMA, però, a causa della pressione degli interventi medici che la caratterizzano, volti alla concretezza del procreare un bambino, sembra rendere più difficile la formazione di uno spazio mentale che favorisca lo svilupparsi di una gravidanza anche psichica, la creazione di un “utero mentale” in cui immaginare il bambino.
Nei casi presentati è stato possibile osservare, inoltre, come nella PMA si possa attuare una cesura tra il momento della fecondazione e quello della gestazione, con una tendenza nelle coppie ad iper-investire il momento della fecondazione rispetto alla gestazione e a considerare già come bambini i prodotti della fecondazione.
Un maggiore investimento della fecondazione rispetto alla gestazione comporta anche un dilatarsi delle paure e dei timori che tutte le donne provano quando fantasticano il proprio bambino. Le fantasie angosciose e persecutorie che in una gravidanza naturale possono presentarsi quando la gravidanza è in atto, nei casi di PMA possono svilupparsi già nella fase di fecondazione. Davanti alla sterilità e agli eventuali ripetuti fallimenti dei tentativi per risolverla, infatti, è possibile che si attivino vissuti angosciosi e persecutori che possono mettere a dura prova la tenuta psichica, la buona madre interna, a causa anche della dolorosità fisica e psichica delle tecniche attuate.
Nella seconda parte del lavoro, le Autrici si interrogano sulla peculiarità delle sfide identitarie in bambini nati attraverso tali tecniche e su quanto e come le modalità del concepimento possano avere un ruolo nelle problematiche presentate dal bambino.
Nei casi di PMA, sembra giocare un ruolo importante nel processo di filiazione il problema della comunicazione o no delle modalità del concepimento del bambino, soprattutto nei casi di PMA eterologa, dove le figure in gioco aumentano. A partire dall'esemplificazione di alcuni casi, le Autrici mostrano come la mancanza di spiegazioni o la presenza di spiegazioni distorte possano creare delle misconcezioni che costituiscono un fattore di rischio per lo sviluppo, a causa della dissonanza cognitiva tra ciò che il bambino intuisce della realtà dei fatti e quanto gli viene comunicato. Allo stesso modo, oltre al “non detto”, esiste il rischio di un eccesso di spiegazioni che espongono il bambino a contenuti non adeguati alle sue capacità di elaborazione.
Intendendo la filiazione come la capacità di costruire un legame con il figlio in cui si possano conciliare appartenenza e distinzione, tale percorso sembra presentare una sfida aggiuntiva per i genitori che ricorrono alla PMA. I processi separativi e distintivi necessari allo sviluppo psichico del bambino possono incontrare delle difficoltà. Da una parte il genitore “escluso”, quello non biologico, può presentare una difficoltà a riconoscersi a tutti gli effetti nel ruolo di padre o madre, dall'altra il genitore biologico può correre il rischio di sentirsi genitore-unico, di avere fantasie di partenogenesi o clonazione, per cui il bambino è fortemente investito come parte di uno solo dei due genitori. Ciò può determinare, quindi, una difficoltà nell'articolarsi delle dimensioni dell'uguale e del diverso, del sé e dell'altro, rendendo più complesso il processo identitario del bambino, processo che dovrebbe portarlo a sentirsi parte integrante di una coppia di genitori avendo comunque un posto distinto tra loro.
Nella parte conclusiva del loro lavoro, le Autrici evidenziano come sotto alcuni punti di vista la PMA eterologa possa richiamare alcune problematiche che si riscontrano anche nell'adozione, come, per esempio, quella dell'interruzione della trasmissione transgenerazionale, sebbene esistano problematiche specifiche della tecnica medica.
Comunque, citando Ansermet (2004), esse sottolineano come «ogni figlio è un figlio adottivo» in quanto propone in ogni caso ai genitori “il rapporto con l'estraneo”.
22/02/2016