ALLATTAMENTO e SVEZZAMENTO nella costruzione del legame
L’importanza della nutrizioneALLATTAMENTO e SVEZZAMENTO nella costruzione del legame
L’importanza della nutrizione nello sviluppo dell’individuo
Mariadele Santarone
Proverò, attraverso questa voce, a percorrere le esperienze di allattamento e di svezzamento e a riconoscere in queste l’essenza dei processi di individuazione e di separazione fondamentali per lo sviluppo mentale del bambino e per la costruzione del legame con l’Altro. Che percorso compie il bambino, fin dalla nascita, nel suo rapporto con il cibo, secondo una prospettiva psicoanalitica?
Madre e bambino* sono già biologicamente predisposti al loro incontro, iniziano a costruire la loro relazione già durante la gravidanza (Maiello, 1993), ma è proprio alla nascita, con l’essere tenuto in braccio e allattato, che il neonato riceve un’esperienza nutritiva unica: non solo necessaria alla sua crescita fisica ma anche a quella mentale. Il bambino sente a poco a poco che esiste qualcuno che può appagare i suoi bisogni e dargli conforto.
Teniamo presente che il neonato è essenzialmente un’unità psicosomatica e che, all’inizio della vita, le sensazioni psicocorporee saranno per lui particolarmente intense, pervasive, a volte soverchianti. La psicoanalista inglese Ester Bick (1964) osservava come il neonato abbia fin da subito bisogno di un Altro che lo contenga. Lo stato di non-integrazione che vive può essere percepito come una sensazione di “andare a pezzi” e lo spinge a cercare con urgenza qualcuno, un’esperienza, che gli dia la sensazione di essere tenuto insieme. Questa esperienza ottimale è rappresentata dal capezzolo in bocca, accompagnata dalla percezione di essere avvolto dalle braccia della madre, con la sua voce e il suo odore che divengono via via familiari.
ALLATTAMENTO
Il seno-capezzolo diventa così un centro gravitazionale dell’esperienza del neonato e il rapporto alimentare un terreno di incontro che mette a stretto contatto sia i corpi che le menti di mamma e bambino. Il seno-capezzolo orienta e concentra l’attenzione del neonato, lo calma e lo tranquillizza se è agitato, organizza i suoi ritmi di vita e lo sottopone anche alle prime frustrazioni.
Il neonato alterna momenti di appagata beatitudine a momenti in cui esprime i suoi impellenti bisogni e il suo disagio.
Egli prova sensazioni non ancora rappresentabili e la madre è predisposta a rispondere a questi suoi bisogni e ad offrirgli ciò che più gli dà benessere: il seno, il latte, la vicinanza, il caldo, lo sguardo. La madre cioè mette in campo una funzione fondamentale. Traduce l’ “angoscia senza nome” del bambino in qualcosa di pensabile, attribuisce senso: “ha fame”, “ha freddo”, “ha bisogno di stare in braccio”, ecc. (Bion, 1962a, 1962b).
Così sarà naturalmente anche per il bambino allattato al biberon, poiché ciò che conta è l’attitudine mentale della madre, che sa rispondere in modo sintonico e sensibile a ciò di cui il piccolo necessita.
Così a poco a poco il bambino acquisisce la consapevolezza che esiste qualcuno in grado di capire, che può dargli ciò di cui lui ha realmente bisogno e, come vedremo, può interiorizzare questa funzione e dare lui stesso senso alla realtà.
I genitori conoscono bene quello stato di beatitudine del neonato al seno, appagato dal latte, in un’esperienza che rimarrà impressa nelle fantasie più arcaiche (Isaac, 1948) di benessere, di soddisfacimento, ma anche di contenimento e fusione: la bocca che accoglie il capezzolo, un dentro e un fuori, il contenere e l’essere contenuti, in una unità totalizzante.
Il tempo gioca un ruolo fondamentale in questo processo: la madre sa che all’inizio il piccolo non è in grado di tollerare l’attesa e sarà pronta a offrire subito ciò di cui lui ha bisogno. Tuttavia, col passare del tempo, lo aiuterà a sostenere brevi attese, calibrate sulla sua capacità di sopportazione. È proprio in questi spazi che può nascere il pensiero: il bambino può immaginare ciò che non è ancora presente. Il pensiero nasce proprio come rappresentazione di un’assenza. Il pensiero altro non è che la rappresentazione di ciò che non c’è.
La psicoanalista milanese Dina Vallino (2004) riporta un’osservazione di una neonata di 17 giorni in cui quest’ultima, in un momento di agitazione, vedendo la mamma sbottonarsi la camicetta, apre la bocca e si tranquillizza prima di ricevere il seno. Potremmo dire, dice Vallino, che si sia creato nella piccola un “lampo di pensiero”, l’anticipazione mentale di un oggetto che ancora non è visibile, ma è atteso. È l’inizio della rappresentazione mentale, del pensiero.
Questo processo è ben lungi dall’essere ideale o perfetto. Vari autori sottolineano il valore dell’imperfezione: Winnicott (1986), psicoanalista e grande maestro della relazione mamma-bambino, ha coniato l’espressione “madre sufficientemente buona” per descrivere una madre che non è perfetta, ma “abbastanza buona” per rispondere ai bisogni del suo bambino. Anche Daniel Stern (1985), psichiatra psicoanalista e ricercatore, parla di una danza tra madre e bambino: un movimento fatto di sintonie, ma anche di inevitabili disallineamenti, che si muovono entro il limite della tolleranza del bambino. Una buona sintonizzazione, egli sottolinea, è ben lontana dall’essere perfetta. Questi piccoli scarti tra il bisogno e la risposta dell’Altro consentono al bambino di fare esperienza del tempo, dell’attesa, della distanza e, infine, della realtà dell’Altro come essere distinto da Sé.
È a questo punto che il bambino inizia a fare esperienza della separatezza: comprende che la madre non è sempre presente, e che la sua assenza può suscitare emozioni intense e ambivalenti. La madre che nutre, infatti, non è solo oggetto d’amore e di desiderio, ma può diventare anche bersaglio di rabbia e frustrazione. Inizialmente per il neonato l’assenza della madre può essere vissuta come presenza di una “madre cattiva”, ma intorno ai sei mesi di vita il bambino potrà sentire di provare sentimenti contrastanti nei confronti della madre. Si tratta di un passaggio evolutivo fondamentale: l’ambivalenza nei confronti di un oggetto intero.
È proprio in questa fase, in cui compare anche la dentizione, che il bambino sperimenta un nuovo potere: scopre che con la propria bocca può mordere, rompere, strappare. Le fantasie arcaiche che si attivano in questo momento riflettono questa ambivalenza: basti pensare alle fiabe, con le loro casette di marzapane, ma anche con streghe od orchi che vogliono mangiare i bambini, mele avvelenate e bambini affamati. Sono rappresentazioni simboliche di desideri intensi, ma anche della paura di danneggiare e di essere danneggiato dall’Altro amato.
SVEZZAMENTO
In questo stesso periodo avviene anche un altro evento cruciale: lo SVEZZAMENTO. Per il bambino lo svezzamento rappresenta un compito emotivo centrale, il prototipo di tutte le separazioni dopo quella del parto/nascita, fonte di dolore e di una sensazione di perdita, ma anche carico di nuove possibilità. Svezzare non significa semplicemente togliere il seno o il biberon, ma introdurre il bambino in un mondo nuovo, fatto di altri sapori, consistenze, ritmi e autonomie.
In questo periodo diventano particolarmente interessanti anche altre figure significative, che possono assumere un ruolo più attivo nell’accudimento. Con l’inizio dell’alimentazione solida l’apporto del papà** diventa più semplice anche grazie alla posizione seduta, che consente al piccolo di stare di fronte agli adulti e di creare nuove modalità di contatto e di comunicazione. Il tutto dipenderà anche da quanto il bambino avrà potuto introiettare il pensiero di una madre presente e soccorrevole, da quanto avrà costruito dentro di sé una fonte di nutrimento per la sua mente alla quale ricorrere in assenza dell’altro.
Lo svezzamento è un momento delicato e significativo, che coinvolge profondamente sia la mamma che il bambino. Entrambi si trovano a confrontarsi con una nuova esperienza di separatezza, che inevitabilmente fa emergere ansie e paure. Da un lato il bambino può farsi curioso, apprezzare le nuove esperienze, ma dall’altro contemporaneamente può manifestare le sue angosce con una maggiore richiesta di contatto fisico o con rabbia e opposizione. Anche per la madre questo passaggio può essere carico di emozioni contrastanti: senso di perdita, ansia ma anche apertura verso una nuova fase della relazione con il proprio figlio e della propria vita.
Certamente quanto più si è rafforzata una fiducia di base sull’accessibilità di una relazione intima e appagante a cui tornare, tanto più il mondo esterno e il nuovo possono essere visti come una scoperta attraente e non troppo spaventosa.
* inteso come termine neutro che include maschi e femmine.
** o di altri caregiver
Bibliografia
Bick E., (1964) L’esperienza della pelle nelle prime relazioni oggettuali. In Melanie Klein e il suo impatto sulla psicoanalisi oggi. Vol. Primo, Astrolabio-Ubaldini A cura di Bott Spillius pp.205-209
Bion W.R. (1962a). Una teoria del pensiero. In: Riflettendoci meglio. Trad. It., Roma: Astrolabio, 2016.
Bion W.R, (1962b). Apprendere dall’esperienza. Roma: Astrolabio, 2019.
Isaac S. (1948). Natura e funzione della fantasia in Fantasia Inconscia, a cura di D. Petrelli (2007) Il Pensiero Scientifico Editore
Maiello S, (1993) L’oggetto sonoro. Un’ipotesi sulle radici prenatali della memoria uditiva. In Richard & Piggle 1 pp. 32-47
Stern D. (1985) Il mondo interpersonale del bambino, Boringhieri, Torino, 1987
Vallino D., Macciò M. (2004), Essere neonati. Questioni psicoanalitiche, Borla, Roma
Winnicott W.D.(1986) Il bambino e il mondo esterno, Firenze, Giunti e Barbera, 1973, p. 143.
16/09/2025